“BETWEEN”
apr
12
a 11 mag

“BETWEEN”

“BETWEEN”

BERTOZZI&CASONI - ROBERTO MORA - MAURO MORI - DAVIDE MEDRI - COSMA - SONIA PEDRAZZINI - ANTONIO TRIMANI - MMAIRO - MATTEO MONTANI - FRANCESCA FABBRI - TEO MARTINO - AMARANTA MEDRI - ALESSANDRO GUERRIERO

CARLOCINQUE GALLERY è lieta di presentare “Between” in mostra dal 12 Aprile al 04 Maggio 2024.

"Between" è un progetto espositivo nato dalla collaborazione tra Sergio Riva e Carlo Cinque, è un incontro e un dialogo tra idee che condividono una comune dedizione alla ricerca e all’innovazione. Una selezione accurata di artisti e designer presenta una serie di opere al confine tra arte e design.

Tra di loro, talenti affermati ed emergenti, tutti accomunati dalla sperimentazione e dalla ricerca e che attraverso materiali innovativi, creano narrazioni visive, mostrando un approccio unico e la capacità di fondere tradizione e contemporaneità.

La collettiva inaugurerà il 12 aprile 2024, in occasione del MiArt e il Salone del Mobile, e sarà visitabile presso CARLOCINQUE GALLERY fino al 04 maggio 2024.

Questo evento anticipa il lancio di uno nuovo progetto, uno spazio all’interno di un palazzo storico nelle adiacenze di Corso Venezia a Milano, destinato ad estendere la narrazione iniziata con il progetto espositivo "Between".

Visualizza Evento →

Wainer Vaccari: 35 “Capricci”
feb
7
a 5 apr

Wainer Vaccari: 35 “Capricci”

Wainer Vaccari: 35 “Capricci”

“Un capriccio di verso”

Sarà per sempre questo il varco,

la strettoia scambiata per miracolo

dove passano minaccia e tentativo

di sfidarti anche adesso in un racconto

incapace di star fermo

fino al gesto più strano e più nero

del tuo seno che osserva il mio teschio?


Tu come un’eco

lontanissima di schianto

dove è palude il tuo lago,

tu mia delizia e mia tortura

quando il tacco sfuma

nello sgomento di una scarpa vuota

alla fine della strada sulla scia

più lontana e più sola


Nient’altro per un attimo vola

che la rossa litania dell’abito

mentre lei si tuffa nuda

e a lui prende fuoco la testa

freccia o lancia puntata verso il cielo

basso di un soffitto dal cui centro

tutto un’altra volta ricomincia


Ma diventa il mio grembo un ombelico

un frusciare di girandola

pronta ad esplodere

mentre imperterrito mi godo

il tuo attimo e il tuo volto

subito prima del volo    

mentre noi ci rincorriamo come

replicanti o pensatori

uno attaccato all’altro

a circumnavigare un arco

superstite di cerchio


Capriccio e poco altro

in realtà quasi tutto mentre scavo

un burrone al posto

del canaletto di scolo che speravo

d’incontrare alla fine della notte

in questi ininterrotti movimenti

di urti e di pensieri, tonfi e silenzi

senz’altri confini che non siano

il mio naso da clown la mandorla

oblunga dei tuoi occhi

treccina capricciosa

e psicologia venuta meno

adesso che di molto lontano

ti penso e ti salvo

fino a restare come loro anch’io

completamente calvo

            

                                                                           Alberto Bertoni

Visualizza Evento →
peter campus: myoptiks
ott
3
a 27 gen

peter campus: myoptiks

peter campus: myoptiks

CARLOCINQUE GALLERY è lieta di presentare "myoptiks" di Peter Campus, in mostra dal 3 ottobre al 27 Gennaio 2024

Nel corso degli ultimi due decenni, peter campus, pioniere della video arte americana, ha dedicato il suo lavoro a catturare la straordinaria bellezza naturale della costa meridionale di Long Island.

Tutte le opere presenti nella mostra "myoptics" sono state realizzate nei dintorni di Bellport, dove l’artista posizionando la sua fotocamera in luoghi attentamente selezionati lungo la costa, ha registrato centinaia di ore. Nelle sue opere video il tempo scorre, la luce si trasforma e l'aria si muove, catturando gradualmente i piccoli cambiamenti del paesaggio. Non c'è un momento di rivelazione improvvisa, piuttosto, piccoli cambiamenti nel tempo si accumulano, creando un'esperienza visiva unica.

In questa serie di opere, peter campus si ispira alla filosofia artistica del Dr. Ananda Coomaraswamy, un metafisico cingalese che è stato curatore dell'arte indiana al Boston Museum of Fine Arts dal 1917 al 1947, parafrasandone i concetti campus sottolinea che, mentre l'arte contemporanea spesso cattura un momento nel tempo, un'arte più meditativa cerca di rappresentare una condizione continua, avvicinandosi al "Tao" o alla fonte stessa delle cose.

L'arte di peter campus sfrutta abilmente la distanza tra la percezione umana, la registrazione della fotocamera e la visione dell'artista. Questo progetto dimostra la maestria di campus come artista video e la sua capacità di catturare la bellezza sottile e in continua evoluzione della natura attraverso una lente contemporanea e meditativa. Le opere di Campus invitano gli spettatori a riflettere sulla bellezza intrinseca della realtà e sulla sua connessione con l'essenza stessa delle cose.

La mostra "myoptics" mette in evidenza la capacità di peter campus di sfidare la percezione e di farci riflettere sulla relazione tra ciò che vediamo, ciò che una fotocamera può catturare e ciò che un artista porta in primo piano.

Campus è presente nelle collezioni permanenti del Museum of Modern Art (NY), del Whitney Museum of American Art (NY), dell'Albright-Knox Art Gallery (NY), del Parrish Art Museum (NY), del Philadelphia Museum of Art (PA), del Centre Georges Pompidou (Parigi), dell'Hamburger Bahnhof - Museum für Gegenwart (Berlino), del Museo Nacional de Arte Reina Sofia (Madrid), del Walker Art Center (MN), del Weatherspoon Art Museum (NC) e della Tate Modern (Londra).

Il suo atelier ha sede a Long Island, NY, dove continua a esplorare nuovi orizzonti artistici, incantando il pubblico con la sua visione unica dell'arte contemporanea

 
Visualizza Evento →
DARIO GHIBAUDO “UNTITLED”
giu
17
a 5 ago

DARIO GHIBAUDO “UNTITLED”

  • CARLOCINQUE GALLERY in collaborazione con Vôtre Spazi Contemporanei (mappa)
  • Google Calendar ICS

UNTITLED

A CARRARA IN MOSTRA GLI ANIMALI FANTASTICI DI GHIBAUDO

L’essere umano ha il bizzarro potere di far degenerare qualunque cosa. Lo scrive Jean-Jacques Rousseau nella prima riga del primo libro del suo Emilio, il trattato in forma di romanzo centrato attorno alla proposta d’un nuovo modello educativo, fondato sul ritorno alla natura fin dalla prima infanzia (Rousseau, per esempio, sconsigliava di lasciare i propri figli nelle mani d’un precettore: educare secondo natura significa, secondo il filosofo, occuparsi in persona della prole), un modello che renda l’uomo capace di vivere in maniera più conforme alla natura. È dunque innaturale un’educazione che non tenga conto dell’universo in cui all’essere umano è dato vivere, che stimoli nel bambino vizi e passioni precoci che lo conducono alla corruzione, che lo allontani dalla mano della natura affidandolo totalmente a quella dell’uomo.

Quando a Dario Ghibaudo viene chiesto com’è nato il suo Museo di Storia Innaturale, il progetto che porta avanti dal 1990, l’artista piemontese tende a citare il modello educativo di Rousseau. Una società troppo sbilanciata, troppo fondata sulle esigenze dell’essere umano, troppo improntata a un approccio tecnologico, corre il rischio di spezzare il rapporto d’armonia che l’umanità deve necessariamente intessere con la natura per garantire a se stessa la continuità della propria specie: da più di trent’anni, dunque, Ghibaudo allestisce in continuazione le sale ideali del suo museo che, con l’ironia che è tipica del suo linguaggio, alieno da qualunque moralismo, eleva a fulcro della propria riflessione la dicotomia tra naturale e artificiale ch’è argomento al centro d’ogni discussione filosofica che voglia essere attuale. Un museo che non ha una sede, che non ha sale fisiche, ma ch’è composto, secondo la scansione di Ghibaudo, da quattordici sezioni (Antropologia, Natura Morta, Botanica, Entomologia, Esemplari Rari, Homo Pronto, Trofei, Botanica Organica, Le pelli, Etnografia, Diorami, Etnologia, Pesci e Anfibi, Etologia), in costante allargamento, strutturate secondo le classificazioni naturali della trattatistica settecentesca, ricche d’opere che trovano nello stravagante, nel bizzarro, nell’ibrido la loro dimensione più congeniale. La stessa suddivisione in sale richiama tanto i musei scientifici contemporanei quanto, e forse soprattutto, i cabinet di storia naturale del XVIII secolo, collezioni di curiosità i cui campioni erano raccolti un po’ per stupire e stupirsi, un po’ per osservare, per studiare, per capire, per conoscere. Un museo che ha addirittura una sua guida, con tanto di mappa topografica e bookshop.

Per Ghibaudo, il museo è il luogo stesso in cui la frattura tra natura e cultura diventa evidente. L’esempio più concreto è quello dei musei di storia naturale, delle loro collezioni d’animali tassidermizzati: ciò che un tempo viveva nella natura s’è fatto oggetto. La scelta di rifarsi a modelli settecenteschi rimanda alle origini stesse del metodo scientifico, apparentemente paradossali: la nascita della scienza moderna è in parte legata alle collezioni tardocinquecentesche delle Wunderkammer e ai loro cataloghi fondati sulla curiosità enciclopedica, sulla stranezza, sui mirabilia, sulle corrispondenze universali, dalle quali sarebbero poi derivati i primi gabinetti scientifici allestiti secondo i primi, rudimentali criteri di classificazione. Ecco che allora il paradosso, inevitabile al cospetto d’un artista che pretende di catalogare esseri nati dalla sua fantasia secondo schemi elaborati a partire dall’illuminismo, diventa metodo nell’arte di Dario Ghibaudo, una sorta di moderno Athanasius Kircher con la propensione alla pratica artistica, che fa il verso ai canoni della scienza (uno su tutti: l’utilizzo di nomi in latino per classificare gli esseri viventi) non per prendersi gioco della natura e della scienza stessa, ma per rimarcare la divisione tra natura e artificio e per instillare il dubbio in chi osserva le sue opere, ricordando che non esiste avanzamento delle conoscenze senza l’esercizio del dubbio. E naturalmente l’ironia è anche funzionale, oltre che per “suggerire altri modi di osservare la società” come dice l’artista stesso, a mettere alla berlina i comportamenti dell’essere umano contemporaneo: si possono leggere in tal senso le opere della sala Homo Pronto, esemplari di uomini e donne che nascono già perfettamente formati, imbustati sottovuoto e inscatolati, pronti per l’utilizzo, modellini che incarnano l’esatto contrario dell’idea d’essere umano che emerge dalle pagine dell’Emilio di Rousseau.

Ci sono poi le Creature meravigliose, animali d’ogni tipo sottoposti a mutazioni e ibridazioni che raggiungono però forme credibili, e che da un lato trasmettono una particolare idea che Ghibaudo ha della scultura stessa (una forma espressiva ch’è a sua volta in costante evoluzione e conosce un processo non esente da errori, anzi l’errore è connaturato al fare arte, ma soprattutto una forma espressiva che sorge dall’esigenza di dare a un’intuizione dell’artista una forma concreta, che occupa uno spazio), e dall’altro si fanno epitome della storia stessa dell’evoluzione, da rileggere secondo un’ottica post-umana (nel senso che oggi l’etica dell’interazione, parafrasando Rosi Braidotti, è definita dalla compresenza degli esseri nel mondo) che non è però anti-umana, come ha ben colto Roland Scotti: “l’artista indica i simboli del trionfo della disponibilità, della interscambiabilità e infine di una mancanza di valori esistenziali, di ciò che in passato veniva definito vivere in modo cosciente. Ma Ghibaudo non critica il progresso: egli indica nelle sue opere l’unica forma di resistenza possibile contro questo fenomeno dell’epoca postindustriale: sorridere dell’assurdità della realtà”. La visione di Ghibaudo, di conseguenza, tiene conto di tutto quel che c’è stato fino a oggi: in questo senso, Ghibaudo è ben conscio del fatto che le sue sculture sono parte d’una storia che lungo i secoli non ha mai scansato una cultura permeata dall’ibrido e dal fantastico. Sarà sufficiente pensare al Rinascimento di Marsilio Ficino che indaga il mondo della fantasia, di Piero di Cosimo che nel suo ciclo della Preistoria immagina un’umanità primitiva dove non esistono confini tra uomini e animali, di Leonardo da Vinci con i suoi studi sulle teste grottesche, il Rinascimento delle creature fantastiche che popolano le opere dipinte e scolpite da una lunga teoria d’artisti d’ogni regione d’Europa. Ghibaudo è erede di questa tradizione, che viene declinata in termini contemporanei per impostare una riflessione profonda sull’attuale condizione umana, sulle contraddizioni dell’individuo, della società e di noi umani tutti, spesso “un po’ troppo egocentrici e superbi”, come ci ha definiti lui stesso: “La metamorfosi narra e fa sognare”, ha affermato Ghibaudo in un’intervista ad Andrea Guastella per ArtsLife, “le mie sculture vorrebbero dire: se a governare siamo noi e apparentemente siamo noi, non possiamo pensare di gestire in toto, per lo meno non ancora, il pianeta, che è un affare più grande di noi”.

Il capitolo più recente della storia del Museo di Storia Innaturale sono le 41 Formelle, il ciclo che Ghibaudo ha presentato per la prima volta a marzo del 2023 alla Carlocinque Gallery di Milano, nell’ambito d’una mostra curata da Carlo Cinque, con un anticipo della serie presentato in occasione della personale al complesso monumentale di San Francesco a Cuneo che s’è tenuta nel 2022. Eseguite tra il 2021 e il 2022, le formelle dànno vita a un singolare mondo che pone il riguardante dinnanzi a una sorta di compendio dell’immaginario di Ghibaudo, anche se il punto di partenza sono gli antichi codici miniati e gli affreschi del Tre e del Quattrocento, cui rimanda anche la forma di questa serie di lavori che prediligono la scultura a rilievo su di un piano verticale, necessariamente irreale per aggiungere un ulteriore grado di “innaturale” all’universo figurativo dell’artista piemontese.

Le formelle sono realizzate in argilla a primo fuoco e successivamente incerate, e raccontano storie prive di trama, che si sviluppano entro scene impostate su di una prospettiva intuitiva, lontana dunque dagli schemi che saranno poi messi a punto nel Rinascimento, che portano entro paesaggi irreali, aspri e rocciosi come quelli d’un Mantegna o d’un Paolo Uccello, personaggi e animali che sembrano usciti talora da un bestiario medievale, talaltra da un trattato di paleontologia: sono le stesse creature che nel Museo di Storia Innaturale prendevano le forme di sculture eseguite nei materiali più diversi (Ghibaudo, lungo la sua carriera, ha lavorato con pressoché tutti i mezzi di cui la scultura dispone: il marmo, il bronzo, la porcellana, la ceramica, la pietra, il cemento, la resina) e che in questo nuovo ciclo assumono una dimensione inedita, più marcatamente narrativa, lasciando trasparire le radici più eterogenee, dalla mitologia alla tradizione cristiana, dalla catalogazione scientifica alla storia dell’arte.

Per Ghibaudo, trasportare il suo repertorio iconografico su quarantuno grandi formelle, un progetto inedito e ambizioso, significa, per sua stessa ammissione, espandere il senso del suo museo, esplorare nuove possibilità espressive in uno spazio che prima non aveva sperimentato e che gli consente di rivolgersi al riguardante alterando la sua percezione con modalità nuove per imprimere tracce aperte, come dice l’artista, “a un già visto impiantato sul nuovo, su uno straniante contemporaneo”. La curiosità demiurgica e onnivora di Dario Ghibaudo, che assieme alla sua ironia creativa ne sostiene l’intera produzione, ha dunque trovato nelle Formelle una nuova tappa del suo percorso visionario e immaginifico che, per tramite d’un museo di storia innaturale, determina le fondamenta d’una ricerca con la quale l’artista svela un mondo irreale, ma assolutamente vero.


DAL 17 GIUGNO 2023 al 5 AGOSTO 2023

VÔTRE SPAZI CONTEMPORANEI

Piazza Alberica, 5 - 54033 Carrara (MS) - Tel: +39.3384417145

Visualizza Evento →
“MIRABILI TRACCE” di BERTOZZI & CASONI
mag
18
a 23 set

“MIRABILI TRACCE” di BERTOZZI & CASONI

BERTOZZI & CASONI

“MIRABILI TRACCE”

VERNISSAGE - 18 MAGGIO 2023 DALLE ORE 18

CARLOCINQUE Gallery è lieta di annunciare l’apertura della mostra “Mirabili Tracce” di Bertozzi & Casoni. Una spiazzante dama sorride dalla vetrina di via dell’Annunciata, invita ad entrare nello spazio che dal 18 maggio ospita la ricerca del duo imolese. Si tratta dell’opera “Ritratto”, la giovane donna-gorilla a grandezza naturale che indossa gli abiti neoclassici di Mademoiselle Caroline Rivière nel celebre dipinto di Ingres, perfettamente a suo agio in una condizione che dissolve barriere genetiche e temporali e mostra ciò che di più vero esiste per l’umano, la sua origine.

Il suo sguardo benevolo, se pur turbante, è un lasciapassare per accedere alla sala principale di CARLOCINQUE Gallery, abitata da una significativa selezione della più recente produzione di Bertozzi&Casoni.
È un viaggio nella natura e nel più spettacolare artificio accompagnati da ironia, spirito provocatorio, gusto di stupire, ma anche dal rigore di analisi e sottende l’invito a riflettere sui grandi temi della società contemporanea e sull’eterna condizione di transitorietà della condizione umana.

Visualizza Evento →
“Plissé” by  Baldessari e Baldessari - FUORISALONE 2023
apr
17
a 23 apr

“Plissé” by Baldessari e Baldessari - FUORISALONE 2023

FUORISALONE 2023

“Plissé” by  Baldessari e Baldessari

In mostra Plissé, panca che rimanda al gioco dei castelli di carte con la seduta che è una sottile lastra lavorata a smusso sul bordo. La tonalità profonda e le bellissime venature del Verde Guatemala fanno sì che si inserisca armoniosamente in ambienti outdoor e indoor, sia pubblici che privati.

Visualizza Evento →
CARLOCINQUE GALLERY INAUGURA CON LA MOSTRA "41 FORMELLE" DI DARIO GHIBAUDO
mar
3
a 3 mag

CARLOCINQUE GALLERY INAUGURA CON LA MOSTRA "41 FORMELLE" DI DARIO GHIBAUDO

APRE A MILANO CARLOCINQUE GALLERY, 

UNA NUOVA REALTÀ PER L’ARTE CONTEMPORANEA. 

Punto d’approdo dell’esperienza pluriennale del suo fondatore, collezionista ed esperto di comunicazione per l’arte, la galleria si trova in un’area strategica e centrale della città, nel cuore di Brera. L’obiettivo è di porsi come concreto riferimento e sostegno per gli artisti che tratta, valorizzando ricerche influenti del XX e XXI secolo. Una passione che diventa impegno ambizioso, frutto di un ragionamento sul dibattito estetico, oltre che sulle tendenze imposte dal mercato. L’attività vive attraverso il rapporto diretto e continuativo con gli artisti, le cui opere sono disponibili all’incontro con nuovi collezionisti. 

La galleria che inaugura il 3 MARZO con la mostra personale di Dario Ghibaudo, presenta la raffinata serie “41 Formelle” modellate ad altorilievo.

Si tratta di un progetto esposto nella sua totalità, scelto per l’immaginifica narrazione e per l’innovazione linguistica nel percorso dell’artista. 41 opere rivelate per la prima volta al pubblico nel 2022, in occasione dell’esposizione personale presso il complesso monumentale di San Francesco a Cuneo insieme a numerose sculture. Una mostra curata da Carlo Cinque, con un testo critico in catalogo di Achille Bonito Oliva.

Visualizza Evento →
Pier Paolo Calzolari - "Senza Titolo" 1972
dic
8
a 25 feb

Pier Paolo Calzolari - "Senza Titolo" 1972

“La piccola sala d’’ingresso al mondo di CARLOCINQUE Gallery: un ambiente raccolto abitato da un capolavoro della collezione Carlo Cinque. L’esposizione si rinnova periodicamente, per mettere di volta in volta in risalto un’opera di un artista storicizzato, quale gemma di una ricerca riconosciuta come influente nella storia dell’arte contemporanea mondiale.”


Figura emblematica nell’arte contemporanea italiana e internazionale, Pier Paolo Calzolari nasce a Bologna nel 1943 e attualmente vive e lavora nelle Marche. La sua ricerca si è da sempre distinta per la trasversalità dei materiali e dei linguaggi.

Negli anni Sessanta si lega al movimento artistico e culturale dell’Arte Povera, pur restando autonomo rispetto a ciò che considerava una costellazione di ricerche e non un gruppo chiuso. Il suo scritto La casa ideale (1968), è considerato un enunciato dei principi di quella stagione. In quel contesto le opere di Calzolari si distinguono per una peculiare qualità poetica e letteraria, fino ad azioni performative come Canto sospeso, 1973.

Il suo ritorno alla pittura, intorno agli anni Ottanta, non rappresenta una rottura ma una continuazione di quel ritrovare la voce primaria della materia, e dunque del colore, espresso anche dall’Arte Povera. L’artista ricorda che il gruppo nasce senza volontà avanguardistica: “aperto al passato, al presente e al futuro”. La sua azione pittorica è sempre interrogazione della materia, della sua origine sciamanica, un rito propiziatorio come il linguaggio della musica e della danza.

E’ noto per l’uso spregiudicato di materiali: da quelli metallici, ai neon, a quelli organici e naturali, esaltando i loro intrinseci processi trasformativi, a cui aggiunge il suono, inteso come esperienza percettiva del Tempo.

Visualizza Evento →
Dario Ghibaudo - Museo Di Storia Innaturale
set
3
a 30 ott

Dario Ghibaudo - Museo Di Storia Innaturale

DARIO GHIBAUDO

MUSEO DI STORIA INNATURALE

a cura di Luigi De Ambrogi e CARLOCINQUE GALLERY


Cuneo, agosto 2022

La XXIV mostra di arte contemporanea promossa da GrandArte - HELP - humanity, ecology, liberty, politics, è dedicata all'artista Dario Ghibaudo originario di Cuneo e al suo Museo di Storia Innaturale. I suggestivi spazi del Complesso Monumentale di San Francesco a Cuneo, ospiteranno, dal 3 settembre al 30 ottobre 2022, circa 90 opere realizzate dall'artista negli ultimi anni.

Nel "fare" di Dario Ghibaudo, vediamo il gesto degli inchiostri ruotare come macchina perfetta intorno al suo polso,mentre nella scultura tutti gli arti ruotano, danzano, si inchinano alla materia. Allora nel turbinare di questi volteggi, nel mezzo del sudore, della fatica e della polvere, ecco l'apparire delle forme che improvvisamente nulla hanno più di inventato, nulla hanno più dello stupire o di originale ma tutto appare nel reale...”

——

PER INFORMAZIONI
Complesso Monumentale di San Francesco, Cuneo

telefono 0171 634175 - Ufficio Stampa: help@grandarte.it | telefono 3440637508

INAUGURAZIONE
Sabato 3 settembre 2022, ore 17.30

La mostra sarà visitabile dal 3 settembre al 30 ottobre 2022
dal martedì alla domenica dalle ore 15.30 alle ore 18.30 con ingresso libero

––––

Visualizza Evento →
Giuseppe Spagnulo - “Ferro Spezzato”
set
3
a 23 nov

Giuseppe Spagnulo - “Ferro Spezzato”

“La piccola sala d’’ingresso al mondo di CARLOCINQUE Gallery: un ambiente raccolto abitato da un capolavoro della collezione Carlo Cinque. L’esposizione si rinnova periodicamente, per mettere di volta in volta in risalto un’opera di un artista storicizzato, quale gemma di una ricerca riconosciuta come influente nella storia dell’arte contemporanea mondiale.”


“Ciò che mi è rimasto dell’infanzia è il senso epico di fare le cose”. Tutte le opere di Spagnulo, dalle meno imponenti a quelle ciclopiche, possiedono una forza espressiva che riesce a rendere poetico il peso del ferro, facendolo respirare, diventare carne, mobile e fragile. Una forma “è perfetta solo solo nella quantità di spazio che una riesce a mettere in movimento”, essa viene liberata dall’artista per trascendere il contingente nell’assoluto.

Una visione che Spagnulo ha cercato nella scultura è quella tragica dell’amata mitologia greca, per lui presente nell’essenza della sua terra d’origine. Alla base della sua “fantastica avventura” ci sono le contraddizioni umane che legge nell’Iliade: “ non c’è divisione tra buono e cattivo, entrambe le componenti sono nell’uomo che è sempre bestia e angelo nello stesso tempo” Nella figura di Efeso ritrova quella dello scultore che lavora con il fuoco, un lavoro concettuale, ma anche molto fisico. Quel fuoco che si può mostrare, come sull’opera Ferro Spezzato. “solo attraverso i segni che lascia sopra e dentro i metalli, segni di colori sfumati che restano lì come pennellate”.

Visualizza Evento →
McDermott & McGough
mag
15
a 28 lug

McDermott & McGough

“La piccola sala d’’ingresso al mondo di CARLOCINQUE Gallery: un ambiente raccolto abitato da un capolavoro della collezione Carlo Cinque. L’esposizione si rinnova periodicamente, per mettere di volta in volta in risalto un’opera di un artista storicizzato, quale gemma di una ricerca riconosciuta come influente nella storia dell’arte contemporanea mondiale.”


La provocazione di McDermott & McGough diventa esistenziale quando ci rendiamo conto di muoverci su un tappeto magico, che ci porta attraverso tappe concomitanti in un territorio sconosciuto. In una visione ci immergiamo di altre visioni, con la verosimiglianza di tante memorie. 1908 data l’opera nella collezione di CARLOCINQUE GALLERY: una retrodatazione tipica del duo che offre un varco interpretativo. Una scena mitologica o religiosa, una pittura solenne che introduce indizi di difformità, come la quinta che dichiara la teatralità dell’azione e il paesaggio classico impossibile, eppure così coerente. Per vivere appieno nell’atmosfera di McDermott & McGough da quella data bisogna muoversi, tra stili e tecniche. Una regressione che sceglie la lingua più adatta e poi la ibrida: dai processi storici alternativi in fotografia come il cianotipo, ad una pennellata giapponese, secondo la passione antiquaria del XIX secolo europeo.

Visualizza Evento →
Pier Paolo Calzolari - “Un Flauto Dolce Per Farmi Suonare”, 1966
feb
1
a 10 mag

Pier Paolo Calzolari - “Un Flauto Dolce Per Farmi Suonare”, 1966

“La piccola sala d’’ingresso al mondo di CARLOCINQUE Gallery: un ambiente raccolto abitato da un capolavoro della collezione Carlo Cinque. L’esposizione si rinnova periodicamente, per mettere di volta in volta in risalto un’opera di un artista storicizzato, quale gemma di una ricerca riconosciuta come influente nella storia dell’arte contemporanea mondiale.”


Un flauto dolce per farmi suonare è un’installazione del 1968, realizzata in tre varianti.

Fu esposta nel 1985 al MOMA di New York, all’interno della mostra "The Knot: Arte Povera at P.S. 1", accanto a opere di altri protagonisti di quella stagione artistica come Alighiero Boetti, Jannis Kounellis, Giuseppe Penone, Mario e Marisa Merz, Michelangelo Pistoletto. Nella collezione di StazioneBase il disegno preparatorio testimonia la genesi di un’opera rappresentativa di Calzolari, ma possiede valore estetico autonomo nel suggerimento di una visione delicata e sognante, immersa in una dimensione metafisica. Sono forse i suoni di una spaesante Arcadia ad essere emanati dalle parole e dalla texture della biacca, suoni attutiti di una danza primigenia. Voci che restano sulla superficie di quella che Achille Bonito Oliva chiama una “ pittura d’attesa”.

Visualizza Evento →
Antonio Trimani - "XX, Yet We Die"
ott
19
a 22 gen

Antonio Trimani - "XX, Yet We Die"

“La piccola sala d’’ingresso al mondo di CARLOCINQUE Gallery: un ambiente raccolto abitato da un capolavoro della collezione Carlo Cinque. L’esposizione si rinnova periodicamente, per mettere di volta in volta in risalto un’opera di un artista storicizzato, quale gemma di una ricerca riconosciuta come influente nella storia dell’arte contemporanea mondiale.”


I vecchi tubi catodici hanno sempre suscitato in me una grande fascinazione; presentarli “nudi” , sospesi in aria, in una composizione desueta, li rende, a mio avviso, oggetti di ulteriore sperimentazione nonostante le passate esperienze artistiche. Ritengo che il CTR possa ancora aver voce nell’universo poetico delle video installazioni.

Questo progetto installativo, inoltre, intende rendere omaggio a una tecnologia “morta” ufficialmente nel 2000 ma soprattutto essere un tributo alle origini della Videoarte, agli artisti che hanno utilizzato questo straordinario mezzo espressivo.

I due programmi video sincronizzati sono stati realizzati con immagini del mio archivio personale. Girate dalla mia finestra di Mare Street a Londra, durante il Carnevale Caraibico. Ho scelto immagini del carnevale perché rappresenta un temporaneo rovesciamento dell’ordine precostituito, ma anche la festa che precede la quaresima.

I due programmi video sono identici, ma il secondo è stato "degradato", tramite un processo analogico di auto-distruzione dei nastri magnetici stessi: ho registrato lo stesso programma video innumerevoli  volte su due nastri separati, alternando i tape player e recorder. Il trasferimento dal primo al secondo e viceversa (processato innumerevoli volte) ha prodotto una degradazione progressiva del video originale. I due nastri si sono autodistrutti l'un l'altro. Lo spettatore vedrà contemporaneamente il video originale e il video in "decomposizione".

Visualizza Evento →
Emilio Isgrò - Teoria Del Seme
giu
21

Emilio Isgrò - Teoria Del Seme

TEORIA DEL SEME

Forse è impossibile imbastire una qualche teoria che accompagni la crescita di un seme. Ed è impossibile per la sola ragione che questo seme da me impiantato in Sicilia – il seme dell’arte, il seme della vita, il seme di quel che vuoi – contiene già di per sé la teoria di ciò che è o potrà diventare. È tutta la mia opera che nasce sotto questo segno: il segno del possibile e della necessità. Né mi persuadono fino in fondo le teorie concettualistiche che ritengono ancora oggi di poter fare a meno dell’opera. Per dirla più chiaramente: se il muro di Berlino è caduto, restano in piedi altri muri, altre chiusure, e tanto basta a capire che è dei poeti che c’è bisogno in questo momento, non degli “intellettuali”. L’artista, infatti, è responsabile di quel che fa, non di quel che dice.

Sono d’altra parte convinto che il modo di gestire le cose contenga in sé elementi di qualche misura teorici e per ciò stesso capaci di illuminare la visione complessiva che l’artista ha del proprio lavoro. Dimmi con chi vai, insomma, e ti dirò chi sei. Spiegami come è nato il progetto e ti dirò se ne vale la pena.

La storia è semplice. La mia città d’origine – Barcellona di Sicilia, una città non più degradata del resto del mondo – ha deciso di affidarsi all’arte e alla cultura per tentare una inversione di marcia che liberi dal degrado. E si è rivolta a me – che là sono nato e là ho trascorso i miei primi anni di vita – per chiedermi di inventare un qualcosa di inedito in grado di risvegliare un interesse non puramente localistico e cittadino: qualcosa, insomma, che avesse un forte, inequivocabile spirito mobilitante.

Sono occasioni che si offrono raramente ad un artista, ed è chiaro che ho accolto l’invito con molto entusiasmo, soprattutto per i risvolti morali e civili che esso presenta, oggi pressoché assenti sulla scena dell’arte inter- nazionale. Così ho proposto al sindaco della città il seme. O meglio: il Seme d’arancia.

Tutto questo, naturalmente, non per bizzarria o voglia di stupire, quanto per una serie di ragioni che elenco velocemente.
Nessun dubbio, intanto, che in una contrada un tempo florida per gli agrumi – come la mia Barcellona, per l’appunto – era necessario trovare fin dall’inizio un segnale piuttosto forte, capace di accendere una gente a volte candida a volte tortuosa, e tuttavia non priva di immaginazione e slancio. Tanto è vero che proprio i vecchi agrumai sono stati tra i primi a capire il senso della proposta, offrendomi la loro esperienza e i loro consigli al momento di impiantare il giardino d’aranci da me previsto a compi- mento dell’opera.

È evidente, in altre parole, che voglio dare al mio lavoro un significato in qualche modo corale: evitando tuttavia quella coralità spontaneista dell’happening che personalmente mi ha sempre lasciato freddino e che, dopo tutto, è ormai largamente scontata. A mi parere invece (e si intende che parlo esclusivamente per me) bisogna perseguire un’arte la cui capacità di coinvolgere vada esattamente di pari passo con la sua tenuta formale.

È in quest’ottica che il seme darà immediatamente i suoi frutti, se è vero, come è vero, che la grande scultura avrà per seguito un convegno agroalimentare – Le arance siciliane e la sfida globale – che sarò io stesso a promuovere e a presiedere, se non altro per dare il senso di un’arte capace di prendersi le sue responsabilità fino in fondo, piuttosto che appiattirsi servilmente sul listino di Borsa.

È l’arte, insomma, che produce l’economia, non viceversa. E pazienza se i pronipoti di Marx non saranno d’accordo: da che mondo è mondo, sono sempre i poeti a mettere i filosofi con le spalle al muro.

 
 

Va da sé che un progetto come questo, proprio per la sua singolarità, comporta una serie di problemi stilistico – formali che richiedono soluzioni appropriate. Soluzioni, voglio dire, concepite e pensate proprio per la Sicilia. Non si può inventare, lavorare nel vuoto pneumatico del denaro; e per me è quasi naturale, in quel clima e in quel paesaggio, che l’opera sia realizzata con una combinazione di scorie volcaniche, resina, tufo e arenaria, la pietra degli antichi teatri di Grecia e Sicilia. Né è del tutto casuale, in un tale consenso, che la lingua italiana da me adottata per l’iscrizione sia chiamata a riecheggiare e riflettere le altre lingue d’Europa: potentemente sbalzata nel sasso friabile, calda e fuorviante come il gran seme finalmente visibile.

Ma su quale terreno cadrà il seme di pietra? E quale fertilizzante potrà maturarlo? E dopo quanti anni nascerà il frutto titanico? Dopo un secolo? O dopo tre? E dove, soprattutto? E come?

L’operazione può diventare, in pratica, il modo più semplice per segna- lare una condizione di malessere che ormai sfugge completamente a chi continua a non capire (o non vuole) che la concretezza finanziaria è cosa naturalmente ben diversa dalla concretezza dell’arte. Quale è infatti la concretezza di tutti coloro che ancora oggi si ostinano a sottovalutare l’autonomia imponderabile del conoscere umano e dell’inventa- re? Dire e ripetere fino alla noia che la misura dell’arte è il denaro e soltanto il denaro – così come al tempo di Stalin era l’ideologia di Zdanov –, dimenticando tranquillamente che anche il denaro è in sé un’astrazione, anzi la massima astrazione possibile, come dimostra di questi tempi la difficoltà di far nascere l’Europa unicamente sui parametri fissati dai grandi banchieri. Mentre è indubitabile che senza una cultura autenticamente nuova e innovativa, e per ciò stesso legata ai veri bisogni di chi la produce, non può esistere neppure l’economia reale, quella che dà lavoro, respiro alla gente.

È proprio la dimensione della concretezza, semmai, che può aiutare il mondo a riscoprire quel filo dell’azzardo e del rischio che l’arte occidentale ha smarrito per la sua parte da almeno trent’anni: da quando, cioè, a partire dagli anni sessanta, si è preferito dar fondo al capitale di invenzioni accumulato in un secolo dalle avanguardie europee, senza reinvestire in cambio in un nuovo sapere artistico o in una nuova ricerca che non fosse puramente tecnologica e strumentale.

È perché la mia opera nasce in una prospettiva concretamente europea, in altre parole, che un rischio personale posso e voglio ancora correrlo, ricordandomi non a caso che uomini come Mozart, Wagner o Weber, alla loro epoca, reagirono con la creazione dell’Opera Tedesca al dilagare del Melodramma Italiano, favorendo così la discussione e lo scambio.

Oggi, di fronte al consumarsi del Melodramma Americano in tutte le forme dell’arte e della cultura, è forse venuta l’ora di incominciare a pensare con il massimo impegno possibile alla creazione di un’Opera Europea che aprendosi al mondo sostituisca con un confronto serio e diretto il tifo da stadio dei fans.

Rimane la domanda di fondo: perché la Sicilia, perché questa terra d’Italia. E la risposta è, almeno per me, che trovo bizzarramente ideologica – anzi dogmatica – una globalizzazione del linguaggio artistico che a certe latitudini sembra fatta appo- sta per coprire i provinciali, inconfessati interessi di chi scambia per apertura cosmo- polita una omologazione del gusto che con la conoscenza reale del mondo non ha niente a che fare.

È qui, per l’appunto, che scatta la forza critica e creativa dell’arte: proprio là dove un artista può prendersi il lusso di tornare a una Sicilia che, se da un lato è quanto di più “locale” si possa immaginare (in quanto l’artista è nato proprio lì, in quella terra, in quella città e non altrove), dall’altro certamente rimane uno dei luoghi deputati della cultura universale, un po’ come l’Irlanda di Joyce o l’Israele dei Dieci Comandamenti. Con una precisazione ulteriore, se necessario: che la Sicilia è sì un’isola, ma un’isola continente, per così dire, aperta a tutta la storia e a tutte le storie, e dunque non solo non è riducibile a un unico modello culturale, ma semmai contiene tutti i modelli e tutti li nega e li trascende, costringendo a volte gli studiosi a parlare di CarSicilie piuttosto che di Sicilia, così come sarebbe più giusto parlare di Americhe piuttosto che di America o Stati Uniti. In altri termini è proprio questo rifiuto (il rifiuto del modello unico, probabilmente iscritto nel Dna dei siciliani) che alla fin fine può fare della Sicilia una delle forze più affidabili per lo sviluppo democratico di un’Europa che nasce al rallentatore. Ma nasce.

Quanto poi all’immagine da me inventata per questa operazione squisitamente estetica – alla quale intendo dare ciò nondimeno una precisa, inequivocabile valenza economica – non è sicuramente un caso che la mia scelta sia caduta su un minuscolo seme d’arancia piuttosto che su altri segni ben più riconoscibili e conclamati della società consumistica postmoderna, a questo punto troppo forte e minacciosa per avere bisogno del mio aiuto o di quello degli altri artisti. Io non lavoro sulla clonazione planetaria. Non rappresento ciò che già di per sé è fin troppo vistoso e visibile, e dunque non ha bisogno di rappresentazioni ulteriori. Io, più modestamente, rappresento l’invisibile. Il seme che non si vede. Mac’è.

In Seme d’arancia, Electa, Milano 1998

Visualizza Evento →
Gianni Piacentino - "Four Colours Cross" 1965
giu
15
a 1 ott

Gianni Piacentino - "Four Colours Cross" 1965

“La piccola sala d’’ingresso al mondo di CARLOCINQUE Gallery: un ambiente raccolto abitato da un capolavoro della collezione Carlo Cinque. L’esposizione si rinnova periodicamente, per mettere di volta in volta in risalto un’opera di un artista storicizzato, quale gemma di una ricerca riconosciuta come influente nella storia dell’arte contemporanea mondiale.”


L’opera del 1965 racchiude in nuce alcuni esiti della ricerca di Gianni Piacentino. In una posizione solitaria e autonoma, rispetto al contesto artistico internazionale in cui si dipana la sua avventura estetica, scardinando le polarità tra gli opposti Pop Art e Minimal Art. La “terza via” di Gianni Piacentino rappresenta secondo Germano Celant “un’uscita assoluta dall’imperfezione, dall’istantaneità e dalla casualità del fare arte, per accedere a un universo di perfezione, calcolo e concentrazione, così da poter competere, sul piano del sublime e dell’assoluto, con un veicolo da corsa o da volo”.

Visualizza Evento →
Salvatore Mangione - “Prefazione All’opera Acclusa”
mar
15
a 4 giu

Salvatore Mangione - “Prefazione All’opera Acclusa”

“La piccola sala d’’ingresso al mondo di CARLOCINQUE Gallery: un ambiente raccolto abitato da un capolavoro della collezione Carlo Cinque. L’esposizione si rinnova periodicamente, per mettere di volta in volta in risalto un’opera di un artista storicizzato, quale gemma di una ricerca riconosciuta come influente nella storia dell’arte contemporanea mondiale.”

Salvo (Leonforte, 1947 - Torino, 2015)

Salvo è stato un artista italiano. Nel 1962 rimase profondamente colpito da una mostra su Bacon presso la Galleria d’Arte Moderna di Torino e l‘anno seguente partecipò alla 121° Esposizione della Società Promotrice di Belle Arti con un disegno tratto da Leonardo. Realizzava copie da Rembrandt, Van Gogh, Fontana, Chagall. Frequentò l’ambiente degli artisti dell’arte Povera e di alcuni importanti critici, come Renato Barilli, Germano Celant ed Achille Bonito Oliva. Nel 1970 presentò una serie di autoritratti presso la Galleria Sperone di Torino e tenne la sua prima personale alla Galleria Francoise Lambert di Milano. Tenne numerose personali in gallerie italiane ed estere e partecipò a molte mostre. Nel 1984 partecipò alla XLI Biennale di Venezia e successivamente, grazie ad un viaggio in Turchia e Jugoslavia, comincerà a realizzare opere orientaliste.

Visualizza Evento →
MICROCOSMO
feb
16
a 31 mar

MICROCOSMO

MICROCOSMO

“Visioni di paesaggi contemporanei dal mondo” un progetto di CARLOCINQUE Gallery a cura di Antonio Trimani e Monica Di Gregorio

Promosso dal Sistema Museale Territoriale Castelli Romani e Prenestinie finanziato dalla Regione  Lazio con il patrocinio dell’Ambasciata della Costa D’Avorio in Italia Accademia di Belle Arti di Frosinone in collaborazione e supporto  Le Stazioni Contemporary Art, Milano. In collaborzione con Crearte Studio , Hermes Ear, inner room , MK Gallery, The Rosemberg Museum, Yurta.

Ogni artista diventa creatore quando riesce ad entrare in sintonia con i misteri sottili della vita, del corpo e dell’animo umano attraverso la sua innata capacità di suscitare emozioni, di svelare la più profonda comunione tra microcosmo e macrocosmo, tra infinitamente piccolo e infinitamente grande.

Albert Einstein, alla fine della sua vita, disse di dovere le sue formidabili scoperte ad un intuito che non derivava dalla raccolta di dati, ma dal fatto che il cervello lavorava e creava.

Ė proprio da questo che scaturiscono le visioni artistiche. Queste visioni, questi collegamenti fulminei, non sono altro che intime emanazioni di quella mirabile e complessa unità che, di volta in volta, veniamo scoprendo tra cervello-corpo-sensi-mondo, unità che si trasforma in multidisciplinarietà tra le varie espressioni artistiche.

Microcosmo è una mostra pensata per accogliere opere di artisti provenienti da tutto il mondo. Il Microcosmo era il “mondo in piccolo” che Camillo Pamphilj, alla metà del Seicento, intendeva ricreare in questa sua residenza extraurbana, affidando ad alcuni dei maggiori artisti del tempo le raffigurazioni allegoriche dei quattro elementi e delle quattro parti del mondo allora conosciute.

“E’ quest’uno epilogato un mondo”: così definisce infatti il Palazzo di Valmontone nel 1660 Gio. Battista Papeo in un suo sonetto, celebrando sia la maestosità della nuova residenza di Camillo Pamphilj, sia il ricco apparato pittorico. Il tema trattato non era certo nuovo, anzi, era quello tradizionalmente adottato nelle imprese decorative delle dimore nobiliari rinascimentali, ma a Valmontone viene interpretato con formule innovative frutto di un’accurata ricerca iconografica e compositiva, tesa comunque ad illustrare la vastità del mondo allora conosciuto adattandola ad un ambiente chiuso e circoscritto. I quattro camerini affrescati con le allegorie dei quattro continenti, in occasione della mostra “Microcosmo” diventano dunque luogo di confronto e di interpretazione del paesaggio contemporaneo inteso nella sua accezione di “microcosmo” e di “macrocosmo”, elementi che accomuneranno tutti gli artisti invitati, tema che sarà declinato secondo le visioni, le poetiche  e il modus operandi dei diversi autori, esprimendo unità nella diversità, dal global al glocal.

 ARTISTI:

Camerino dell’America

Maria Thereza Alvez / Peter Campus

Patricia Claro / Alvin Curran

Jimmie Durham / Kethleen J Graves

César Meneghetti / Michael Snow

Bill Viola

Camerino dell’Africa

Ernest Dükü / Theo Eschetu

Ananias Léki Dago / Mohamed Keita

Joachim K. Silué / Ouattara Watts

Camerino dell’Europa

Chiara Arturo / Bankeri

Carlo Bernardini / Iginio De Luca

Tiziano Doria / Angelo Maria Farro / LU.PA

Federico Fusj / Emanuele Giannetti

Emilio Isgrò / Gianni Lillo

Matteo Montani / Alice Paltrinieri

Mimmo Rubino / Donatella Spaziani

Jan Steklík / Mat Toan / Antonio Trimani

Camerino dell’Asia/Oceania

Stephen Roach / Jon Rose & Hollis Taylor

Fang Shengyi / Liu Shangying

Suh Yongsun / Wang Yu

Visualizza Evento →
Incontri in collaborazione con CARLOCINQUE Gallery
ott
27
a 11 nov

Incontri in collaborazione con CARLOCINQUE Gallery

INCONTRI

In collaborazione con CARLOCINQUE Gallery

All’interno delle celebrazioni del comune di Teano sull’unità d’Italia, il 26 ottobre 2018 alle ore 18.00 dieci artisti italiani (Paolo BiniMarco GastiniEmilio IsgròLuigi MainolfiMatteo MontaniNunzioVincenzo RuscianoAlessandro SciaraffaAntonio TrimaniIvano Troisi) si confronteranno sul tema dell’incontro nello spazio ad unica navata della Chiesa sconsacrata dell’Annunziata. La mostra, presentata da Valentino Catricalà, investiga l’incontro come un’apertura a ritrovare un nuovo rapporto con il nostro pianeta, sul presente e il futuro dell’uomo.

Il seme di arancio ingrandito migliaia di volte di Emilio Isgrò (Barcellona Pozzo di Grotto, 1937) che apre la mostra necessita infatti di un terreno fertile per poter diventare pianta e dare il frutto. Sono così gli alberi, creati attraverso spazi vuoti, pertugi tra carte leggerissime, il tema del lavoro di Ivano Troisi (Salerno, 1984) che, nell’incontro tra pieno e vuoto, vengono animati in un morbido movimento dal passaggio dello spettatore. È ancora il pubblico ad attivare l’opera di Alessandro Sciaraffa (Torino, 1976) dal titolo L’ombra del mare, che grazie a un’infiorescenza di sensori, produce un suono che richiama il fruscio delle onde quando il corpo e in particolare le mani dello spettatore si giustappongono al fascio di luce che investe l’opera. Ancora il mare, il mare nostrum, il Mediterraneo che abbraccia la penisola, è il soggetto evocato dall’opera di Paolo Bini (Battipaglia 1984), che lavora attraverso la scansione orizzontale inseguendo la possibilità di molteplici orizzonti. Marco Gastini (Torino 1938-2018), maestro indiscusso della pittura contemporanea italiana, viene omaggiato dagli organizzatori con un’opera del 2013 nella quale il bianco, il pigmento oltremare puro e il nero del carbone sono il campo d’azione di uno spazio esclusivamente pittorico rimesso in discussione con urgenza esistenziale dal sorprendente arrivo di elementi tridimensionali: tre schegge di pietra affilate. Una scultura a parete, un legno combusto, è il segno invincibile di Nunzio (Cagnano Amiterno, 1954): l’incontro con l’elemento fuoco ridefinisce un valore plastico al legno e paradossalmente lo rigenera, per lo sguardo. Il Video è il medium con il quale Antonio Trimani (Cosenza, 1970) si confronta da anni. Chôra, l’opera scelta per la mostra, è un paesaggio ipnotico dove cielo e mare si incontrano su una linea d’orizzonte discernibile ma surreale, una nuvola di fumo si irradia nell’ambiente riflettendosi nell’elemento liquido, contribuendo alle variazione cromatiche e ritmiche del video.

L’opera di Vincenzo Rusciano (Napoli 1973) è un tessuto che vive di contraddizioni e ipotizza un ideale spostamento di quella classicità, che ancor oggi continua ad essere un importante giacimento della nostra eredità culturale, dentro l’estetica della contemporaneità. Il basamento dell’altare della chiesa ospita Isola, di Luigi Mainolfi (Rotondi 1948), esponente di spicco della cosiddetta scultura post-concettuale, impostasi al principio degli anni Ottanta. L’opera di Mainolfi innalza sul sole e oltre il sole (riconoscibile negli elementi del piedistallo che appaiono come raggi) un elemento naturale spoglio e umile come il legno, operando un rovesciamento alchemico nel quale il valore minimo di un materiale povero assurge potentemente a valore assoluto. Chiude il cerchio, e lo rimette in gioco, Matteo Montani (Roma, 1972), facendo  incontrare cielo e terra sulla superficie scura della carta abrasiva.

Incontri è patrocinata dal Comune di Teano e realizzata con il contributo e la collaborazione della

CARLOCINQUE Gallery

Galleria Nicola Pedana Arte

Contemporanea di Caserta

Visualizza Evento →
Invitation To A Disaster
set
27
a 30 ott

Invitation To A Disaster

INVITATION TO A DISASTER

CARLOCINQUE Gallery è lieta di presentare dal 27 settembre Invitation to a Disaster in cui protagoniste sono le opere di Matteo Montani e Antonio Trimani, oltre al luogo che le ospita: un appartamento milanese posto all’ottavo piano di via Melchiorre Gioia 135.


In un percorso che si snoda ammantato da una misteriosa oscurità e attraverso una serie di stretti varchi che sostituiscono le consuete porte, quasi delle ferite sui muri, le opere dei due artisti emergono come delle vere e proprie epifanie. Una civile abitazione si trasforma non in un domestico luogo espositivo come avviene nell’ormai consolidata formula dell’home gallery ma in un percorso iniziatico per lo spettatore che con continuo stupore e, forse per alcuni, senso di oppressione sperimenta la rigenerante bellezza della luce che proviene dalle tele di Montani o dai riverberi dei monitor dei video di Trimani.
L’appartamento si presenta come un luogo veramente ferito e mostra concretamente questo suo carattere durante la visita che prevede anche la partecipazione all’happening in cui sarà realizzato un “vanishing painting” di Matteo Montani.
Marco Bazzini osserva che “quelli che all’inizio e fuori di ogni metafora si presentano come dei tagli, traumi, sfregi si trasformano in una proficua dialettica tra l’offesa e la cura, il buio e la luce, l’interno e l’esterno, la grotta e il cielo stellato. E quest’ultimo sarà ritrovato al termine dei diversi passaggi che stanza dopo stanza, sfondamento dopo sfondamento in una ripetuta allusione alla rinascita, conduce a quel riveder le stelle di dantesca memoria. L’appartamento nel suo essere spoglio e offeso non è una spietata scenografia ma un diverso ambiente in cui far irradiare in maniera diversa le opere dei due artisti, un modo per ricercare una corale opera totale dall’indubbio carattere sinestetico”.


Marco Tonelli aggiunge a proposito dei due artisti: “un dialogo di lunga data quello tra Montani e Trimani, che a tratti sembra sovrapporsi in uno spazio in cui i trascoloranti paesaggi pittorici dell’uno sono evocati e rievocano quelli fantasmatici e digitali dell’altro. Un percorso dentro un nudo appartamento che si apre in fratture, spacchi, ferite, fenditure irregolari che si riflettono nelle opere, che le opere riflettono.
Difficile non uscirne toccati, soprattutto dopo esser saliti ed aver visto la statua di Montani incantata dalla stella sonora di Trimani. Difficile rientrare nella normalità del traffico e del caos della strada. Difficile entrare ed uscire senza riportare qualche frattura sulla pelle sensibile, per chi sa mettersi in ascolto”.


Matteo Montani (Roma, 1972) è uno tra i più noti esponenti della nuova pittura italiana e da sempre associa a questa l’idea di soglia, di passaggio. Per lui il dipingere è la creazione di uno spazio reale in cui il segno convive con una manifestazione di luce.
Antonio Trimani (Cosenza, 1969) protagonista della scena video nazionale indaga l’idea di spazio e tempo attraverso la ripresa di paesaggi come testimonianza dell’esserci e come proiezione di un attraversamento dello sguardo attraverso un confine, una ferita.

Visualizza Evento →
Emilio Isgrò - Monumento All’inferno
mar
12

Emilio Isgrò - Monumento All’inferno

OPERA PERMANENTE UNIVERSITA’ IULM MILANO

MONUMENTO ALL’INFERNO

Emilio Isgrò

Dante è bendato e non può leggere. Siede davanti alla Divina Commedia cancellata, simbolo della cultura europea che non è più in grado di leggere (o rileggere) se stessa. Persino lui, l’Alighieri, è stato accecato dalla carenza di educazione alla parola umana. Nella società mediatica potrebbe accadere a Shakespeare, a Goethe, a Flaubert. Invece per ora è accaduto a Dante Alighieri, sommo poeta che dell’Italia e della lingua italiana è uno dei modelli più luminosi. E per l’artista delle cancellature, si sa, la parola è il solo valore ineliminabile, poiché fa letteralmente corpo con l’uomo.

La nuova installazione di Emilio Isgrò è un Monumento all’Inferno perché “infernale” è il momento storico che stiamo vivendo, investiti da una comunicazione globale che, da un lato, ci avvicina e abbatte le frontiere, mentre dall’altro, paradossalmente, ci fa dubitare della nostra esistenza in un mondo troppo mobile per essere vero. “L’ignoranza, nel senso socratico del termine, è la vera tragedia delle nuove tecnologie. Forse è necessario un nuovo assetto filosofico: non dimentichiamo che il futuro sale sempre sulle spalle del passato”, ci ricorda l’artista.

Monumento all’Inferno è pertanto un monito, un incoraggiamento ad agire, a servirsi della comunicazione per rovesciarne il segno negativo trasformandola in uno strumento di libertà e fraternità. Quella fraternità che ci appartiene e che noi non vediamo, così come Dante non vede il suo stesso capolavoro. È necessario disfare le bende, aprire gli occhi e leggere il mondo che ci circonda con gli strumenti intellettuali che solo l’educazione può fornire.

In questo modo Isgrò, con la sua imponente scultura in alluminio, si ricorda della Iulm e dei suoi preziosi studenti ai quali ha tenuto lezioni di estetica e mass-media per tanti anni. “Questa mia nuova opera”, dice l’artista, “è infatti essa stessa una lezione, giacché l’arte, oramai, non può che tornare alla sua funzione più nobile: quella di insegnare il senso più profondo della vita e dei rapporti umani”.
La Cancellatura, insomma, diventa essa stessa linguaggio, un nuovo alfabeto che l’artista, fin dagli anni ’60, compone e ricompone lasciando traccia sull’intera arte mondiale nel segno di un’arte civile e colta capace di liberarsi dalla congestione informatica che ha investito le nostre società.

Giulia Crespi

Visualizza Evento →
Tempo Del Paesaggio
giu
11
a 16 ago

Tempo Del Paesaggio

  • CARLOCINQUE GALLERY in collaborazione con CIAC Genazzano (mappa)
  • Google Calendar ICS

TEMPO DEL PAESAGGIO

Il CIAC è lieto di presentare un nuovo progetto espositivo sul tema del paesaggio. Due artisti che, diversi per nazionalità e formazione, sono uniti da un mezzo comune, il video. Le sale del Castello Colonna presentano una selezione di lavori che formano due percorsi personali che il titolo della mostra rende vicini. In entrambi gli artisti il tempo ha un ruolo decisivo; sincopato, costantemente misurato nei video dell’artista Coreano e dilatato e apparentemente bloccato in quelli dell’italiano.

Nei paesaggi di T AHN il video diventa una sorta di tavolozza sulla quale l’artista aggiunge e toglie, sovrappone elementi pittorici o digitali, seguendo il flusso della musica di Admir Shkurtaj. In Trimani i paesaggi vivono un tempo bloccato, lento e senza scosse apparenti ma con un effetto ipnotico dirompente.

Le immagini, che siano manipolate o rese nitide e sospese, restituiscono un’idea del tempo e del paesaggio molto singolare; più vicino alla cultura occidentale appare a volte T AHN quanto contigui a certe atmosfere orientali sembrano appartenere i video di Trimani.

Il giorno dell’inaugurazione l’autore Admir Shkurtaj proporrà un suo intervento musicale. Il compositore è l’autore di Katër i Radës, opera da camera, su commissione della Biennale di Venezia.

T Ahn, media artist coreano, è conosciuto per i suoi tentativi di espansione della pittura bidimensionale di linee e colori, verso una terza dimensione spaziale.
Dirige il La Pomme Contemporary Art Museum di Cheongju in Korea. È presidente dell’Associazione “Culture Art TY” di Seoul, Kyungki, Busan, Daejeon, Cheonan, Daegu, Gwangju e Junju.
Per T Ahn, lo spazio non è esclusivamente un oggetto necessario per l’esplorazione strutturale, quanto piuttosto un’area all’interno della quale significati pubblici e privati si uniscono per produrre un nuovo significato. L’artista è particolarmente interessato al processo attraverso il quale uno spazio si trasforma in arte figurativa.

Le sue opere sono una reinterpretazione di due elementi distinti: il paesaggio coreano ispirato agli artisti europei del XV-XVIII secolo, e le rappresentazioni dello paesaggio di montagna e rocce avvolte in nuvole ispirati da una poesia dei famosi poeti occidentali.
Il lavoro di Tahn rappresenta una “prospettiva del tempo”, la quale può essere letta in chiave dei cambiamenti che avvengono a partire da un determinato punto nel passato e a un cambiamento di stato. L’artista utilizza vari generi di espressione creativa quali per esempio la sound art, media art e l’installation art. Vive e lavora tra Seoul e Cheongju.

Antonio Trimani è un video artista italiano che si è formato e continua a formarsi, in un’instancabile ricerca di senso e completezza, lavorando per molti dei più rappresentativi artisti della scena internazionale. Tra essi ricordiamo Peter Campus, Alvin Curran e Bill Viola.
Da anni trasforma la sua grande competenza e conoscenza tecnica ed estetica in sperimentazioni personali, in opere e in esposizioni artistiche.
Ha partecipato a numerose mostre personali e collettive tra cui ha La 54° Biennale di Venezia (Padiglione Italia), La Biennale Italia-Cina, a Beijing e più di recente La 6° Moscow Biennale progetto speciale del National Centre for Contemporary Art (NCCA).
Lo scorso giugno ha inaugurato una installazione site specific presso il Complesso Monumentale di Santa Maria della Scala. Successivamente, insieme all’artista Peter Campus e ai fotografi Kathellen J. Graves e Ito Lim, ha realizzato una mostra presso la Seoul City Gallery la mostra dal titolo mostra De Bello Naturae. La stessa esposizione si è spostata, presso il Suwon Art Center, sempre nella Corea del Sud. Vive a Sud di Roma.

Visualizza Evento →
"De Bello Naturae" Exhibition in Seoul, Korea
lug
30
a 30 ago

"De Bello Naturae" Exhibition in Seoul, Korea

  • CARLOCINQUE GALLERY in collaborazione con Suwon Art Center (mappa)
  • Google Calendar ICS

Exhibition in Seoul, KOREA 
"DE BELLO NATURAE della natura, le sfide"

2016.07.30 - 08.31 
PETER CAMPUS (USA)
KATHLEEN J. GRAVES (USA)
ANTONIO TRIMANI (ITA)
ITO LIM (KOR)

Seoul Metropolitan Government - City gallery & City Plaza

Focusing our attention on the exhibition’s artists that we present to our citizens, even if they adopt two different modes of expression, they share the same means of recording real life, photography and video. These artists will exhibit works which illustrate the relationship of conflict between human beings and nature in four different ways.

This project has the aim of traveling to different places and countries and with each step will change and adopt a new visual and thematic and artistic additions and enrichment. Begun in Italy, this show is now approaching our city capital. In Seoul the three artist are enriched by meeting and adding to their exhibition the Korean photographer Ito Lim. It is not a chance encounter, all the artists in the exhibition have as their object nature. We can say as if we where Latin,‘de bello naturae’.

Peter Campus has created an interpretation of the nature inhabited by people working at its edges. Fishermen and their boats often reflect the necessity to work with nature rather than to overwhelm it. The curves and forms and lines of these seiners and trawlers make reference both to the work of fishing and the ocean that surrounds them. The mistake to believe the utilitarian as drab is denied by the beauty of these boats: the two shown here, worn by the sea, present their beauty without regards to their temporality. Along with these are the depiction of two pleasure boats, less concerned with the sea than to be appealing. They stand against utility. They serve to impress, and sit unconcerned that the oceans will eventually overwhelm them.

Kathleen J Graves work focuses on nature and technology. The artist imagines artificial creatures called NanoBots who are new life forms blending into the landscape. The Dark Garden reflects on changes in weather and the recent flooding where Graves lives on Long Island, New York. In these images, both the sensation of flooding water and the imaginary creatures called Bots observe the environment and expose diverse environmental challenges and fears. These cautionary images respond to the human joy of gardens and landscape and Graves belief in presenting new technology in a visual way. Additionally, the harbinger of being watched by our technology asserts itself.

The electronic landscapes by Antonio Trimani invite us to contemplate, making this function associated with memories that are ancient and ancestral yet near to us now, more than ever. Marco Tonelli wrote these words: “If Magritte had had a way to use video, he would have certainly represented his revelations about daily life in the same way Antonio Trimani does. For example, by suspending a boulder in the middle of the sky as a
sudden apparition (Rivelation, 2013).Trimani’s work often lives on these subtle epiphanies which alter their physical essence according to the times and places charged with a color-changing anticipation like the Chora, 2015 video on exhibit. Here time is like an evanescent material, not only because it is diluted in these times of digital images but because it is expanded along ultra-sensitive and changing colored trajectories exactly like the sensitivity of the subject and our perceptive apparatus. Daily visions in the electronic flow, the works of Trimani make everything real that can be observed in the banality of our daily lives seem unreal and metaphysical thanks to the dreaminess of the composition in his videos”.

Lastly, Ito Lim represents the enrichment figure of this project, which in Korea lays the foundation to add new elements, new perspectives, new visual experiences to exhibitions.Viewers will appreciate the atmosphere, sus- pended in Lims black and white images. Fabrizio pizzuto wrote these words: " Ito Lim views images in their poetry, in their possibility of becoming introspection, and highlights their characteristics. The loneliness caused by a lack of human figures in all images has the role of a focalization, an attention, a spotlight on man himself, who is behind the camera and not before it. The image belongs to man’s eye and seems to be emanated by his eye. As such it is a mirror of both the author and the consumer, each one in his own loneliness, joined together in an image that is the vehicle of a touchingly being lost in thought."

Visualizza Evento →
Antonio Trimani - “Risonanze”
apr
12
a 22 apr

Antonio Trimani - “Risonanze”

RISONANZE - Antonio Trimani

a cura di Fabrizio Pizzuto

Risonanze è un progetto espositivo che nel nome stesso lascia risuonare la sua verità, un tintinnio di campana che rimane nell’orecchio, la sensazione di una eco, le onde del mare dopo un sasso gettato, il richiamo delle cose e della loro poesia. Tre opere video mostrano un percorso meditativo, non errabondo, tra le cose e le verità del mondo.
Per verità qui si intende l’acqua, gli alberi, le pietre, le nubi. Il video seduce nella lentezza del poco, della vita sovrappensiero, ricolma di se stessa poiché abbraccia le speranze e i ricordi. L’atmosfera si snoda dilatandosi in tutto il tempo disponibile. I video, però, svelano sempre qualcosa, una magrittiana risorsa (in Rivelazione), un pensiero enigmatico cui l’essenza sfugge (in Chora), una sorta di sovra-reale surrealtà che ha in sé una condensazione di elementi. Completano il lavoro altre due opere. Una “ferita video”, sorta di crepa, dolore del muro che ci porta da Burri a Fontana. Il luogo si apre, si ferisce, e mostra l’epidermide dell’esposizione, forse la sua parte dolorante, sartriana accettazione del vivere. E infine un “gesto sonoro”. Il gesto è una vibrazione, è costituito da suono e risuona con una combinazione di elementi sovrapposti. Qui gli elementi sono speculari: il dentro e il fuori del corpo; le onde del mare e il cuore stesso. Il cuore è la città dentro cui le cose risuonano in emozione, dal quale partono le onde e tutto si dilata. Sorta di astratta candela del Buddha di Nam Jun Paik. Cuore che significa sono vivo..

Visualizza Evento →
Antonio Trimani - “La Ferita”
gen
1
a 3 nov

Antonio Trimani - “La Ferita”

LA FERITA

Una “ferita video”, una proiezione che vibra di colore e sensazioni, sorta di crepa creata ad arte, come un dolore del muro, in un ragionamento che ci porta da Burri a Fontana. Il luogo si apre, si ferisce, e mostra l’epidermide dell’esposizione, forse la sua parte dolorante, sartriana accettazione del vivere, concreta esistenza del taglio e al contempo lirica trasposizione del sangue e dell’interiorità.

La ferita inoltre si sposta nello spettro prismatico, da rosso magma sangue pulsante si muove lentamente fino a raggiungere l’oro, la preziosità, con un rimando netto alla pratica del Kintsugi giapponese. Una pratica che consiste nel riparare con oro liquido il vasellame di ceramica danneggiato, trasformando così gli oggetti rotti in oggetti preziosi. L’imperfezione e il dolore sono quindi da considerarsi come luogo privilegiato, culla da cui nasce il gradino estetico superiore. Rottura, ricomposizione e costante mutamento, sono i fondamenti di un’operazione che svelano la ferita come ricchezza e valore per il nostro cammino esistenziale.

Il tutto si stende su un’idea di sfondamento. Nel 1952 Lucio Fontana realizzò un esperimento che rimane un unicum nella sua produzione, durante una trasmissione sperimentale della Rai di Milano proiettò Immagini luminose in movimento attraverso i buchi del suo primo Concetto Spaziale. Un operazione poco nota, ma che svela la grande attenzione di Fontana verso la luce come elemento che fende il tempo e lo spazio.

L’operazione di Trimani sembra per certi versi l’opposto, per altri il proseguimento. La ferita sfonda lo spazio facendo capolino dal taglio, una registrazione video si mostra al di là dell’apertura. Il taglio inoltre non è su una tela ma direttamente nel mondo, nel luogo espositivo, luogo che vive attorno ai suoi visitatori, che mostra la sua evanescente concretezza come magma pulsante tele trasmesso. Risonanza delle pareti.

Fabrizio Pizzuto 



Visualizza Evento →